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Aspra e Buca, le città sommerse

da Giovanna Colantonio

C’è un segreto sommerso, un dubbio che riemerge dall’andirivieni del mare ogni volta che un pezzo di anfora, o una colonna, tornano a vedere la luce del sole. Un sole che non può più illuminare i mondi passati, ancor di più se questi sono sepolti negli abissi.
L’Adriatico, teatro di fascinosi miti e antiche leggende, nel tratto di costa che un tempo si chiamava Penna Luce, potrebbe aver inghiottito una città intera, sprofondata sui suoi fondali oltre duemila anni fa a seguito di un cataclisma. Le tracce riaffiorate sono tante: braccia di statue, resti di capitelli, ancore di età romanica. Sassi che ci ingannano con sembianze di vite lontane, o resti di una antica civiltà erosa dall’acqua?

Esistevano due città nei pressi della costa vastese, di cui una doveva essere il prolungamento del suo porto, l’antico Histonio. Si chiamavano Aspra e Buca. Erano floridi scali marittimi, citati dagli storici del tempo, tra cui Strabone, Tolomeo, Mela. Improvvisamente scomparvero dalle carte geografiche: un intero tratto di costa si inabissò, a causa di un terremoto o una frana, eclissandosi per sempre a centinaia di metri di profondità.

Tra i marinai del posto c’è chi giura di aver visto torri e mura di città sommerse, dove, negli anfratti, nidifica in abbondanza il pesce mandorla, difficilissimo da pescare a causa delle reti che si impigliano lungo i canali di una strana scogliera subacquea. Diverse spedizioni organizzate hanno rilevato l’esistenza di un’isola che millenni fa doveva essere terra emersa, oltre a relitti risalenti al III-IV sec. a.C., che testimoniano la presenza di insediamenti umani. Plinio il vecchio, nella sua Naturalis Historia, collocava proprio qui “l’Atlantide dell’Adriatico”.

Acque placide, trasparenti, azzurre. Eppure profonde e inesplorate. Il Mare Nostrum nasconde 1001 misteri che forse mai scopriremo.

 

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