Faro di Punta penna
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All’ombra del faro sta succedendo qualcosa

da Giovanna Colantonio

All’ombra del faro sta succedendo qualcosa

I vastesi conoscono bene l’ossimoro di Punta Penna. Riserva naturale da un lato e zona industriale dall’altro. Un contrasto che si riflette nel tessuto urbano del quartiere. Luogo e paesaggio splendidi, con una spiccata inclinazione verso la noncuranza. Lì dove magnificenza e decadenza convivono. Ma la bellezza, così come la felicità per Benigni, non sta nell’assenza dei contrasti, ma nell’armonia dei contrasti. Non è una qualità delle cose, ma esiste nella mente di chi le contempla. E negli occhi di chi guarda. Così c’è chi è riuscito a superare la contrapposizione e a vedere quest’area come una totalità, il cui pregio risiede proprio nel suo essere autentica e diversa. Così, all’ombra del faro di Punta Penna, sta succedendo qualcosa. 

Hanno tanta bellezza negli occhi Luigi, Betta e Jack, che dopo l’esperienza di Bagni Vittoria, con tanto coraggio e dedizione, hanno deciso di investire in un sogno: Punta Penna Sea House. Il loro “progetto sbagliato”, così come ironicamente lo definiscono, lungimirante e rivoluzionario, si pone come un esempio da riprodurre sul grande tema delle riletture di quartiere. Una casa vacanze simbolo di trasformazione, che parte da un diverso presupposto: dalla conoscenza e dalla valorizzazione del territorio e delle sue meravigliose caratteristiche, per lasciare un’impronta di bellezza nello spazio circostante. Riordinando gli spazi verdi hanno restituito all’intera area una vista sul faro completamente inedita e creato un affascinante dialogo tra arte e paesaggio. Esposizioni visibili a tutti raccontano in modo completamente nuovo il borgo, a partire dell’opera “Il Porto di Punta Penna”, olio su tela del famoso ingegnere e pittore vastese Luciano Tosone, a 20 anni dalla sua scomparsa.

Una contaminazione che aggiunge bellezza alla bellezza, in un posto già straordinario. Un progetto che inaugura un modo diverso di pensare al borgo di Punta Penna, non più incentrato sul vecchio binarismo che lo vedeva come luogo di periferia, ma focalizzato su nuovi scenari di storytelling territoriale, in cerca di altri interlocutori visionari che ne sappiano cogliere tutte le potenzialità, nella convinzione che “la bellezza salverà il mondo”. 

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