Home Abruzzo L’incredibile storia del cameriere abruzzese di Hitler

L’incredibile storia del cameriere abruzzese di Hitler

da Giovanna Colantonio

Dopo la notizia delle mutande di Adolf Hitler vendute all’asta per 7mila dollari, per tutti i nostalgici del nazismo o gli appassionati di storia contemporanea, noi, qui, vi raccontiamo la storia di un nostro corregionale che il dittatore lo conobbe di persona e lo vide anche in pigiama. Un uomo che conosceva il nome della saponetta per le mani del Fuhrer e che sentiva Eva Braun, ogni sera, fare gargarismi con il dentifricio per nascondere al suo compagno l’odore di fumo. Un uomo che visse la storia della Germania dal di dentro: esattamente dal Nido delle Aquile, sulle Alpi bavaresi. Ci verrà da chiederci se quest’uomo fosse consapevole che la biografia di colui che ogni giorno serviva al tavolo sarebbe coincisa con la storia di paese intero.

Stiamo parlando di Salvatore Paolini, (1924-2010) nato a Villa Santa Maria, in provincia di Chieti, in Abruzzo. Un uomo brillante e carismatico, la cui vita fu costellata di episodi incredibili e coincidenze fortuite. L’uomo che finita la guerra decise di tornare al suo paese per riportarvi ciò che di buono aveva imparato dai tedeschi: fu eletto sindaco per quattro mandati e rese grande la Scuola dei Cuochi in Italia e nel mondo.

Her Paolini, così il Fuhrer salutava Salvatore quando si incontravano per le scale. Adolf Hitler era un signore educato, carismatico, gentile. Una persona normalissima. Era sorridente e diceva spesso “grazie”. Non si mostrava mai alterato, né alzava la voce. Il suo atteggiamento temperato rendeva l’atmosfera della sala da pranzo sempre conviviale. Il suo posto fisso era il capotavola, con le spalle al muro, da cui poteva tenere tutto sotto controllo. A volte, poche volte, Eva Braun si univa al pranzo, ma il Fuhrer non la lasciava  mai sedere accanto a lui. Hitler era sempre seguito dal suo medico personale che dormiva nella stanza accanto alla sua. Mangiava in prevalenza verdure e patate, mai carne. Erano solitamente cibi molto speziati perché durante la prima guerra mondiale aveva perso il senso del gusto restando vittima di un attacco di gas mostarda. Non beveva vino né birra, ma sempre molta acqua, e adorava i dolci con la panna. Solo una volta Salvatore lo sentì borbottare a voce bassa contro Goering, ormai non più nelle sue grazie: “Non sapevo che il maiale mangiasse la propria carne”. Il ministro della Luftwaffe stava mangiando un pezzo di prosciutto al forno con piselli, in modo scomposto. A raccontarci tutti i dettagli è il figlio di Salvatore, Vito Paolini.

Ma come ci è finito Salvatore da Villa Santa Maria al servizio dello Stato Maggiore tedesco?

<<Mio padre era un ragazzo intraprendente, ha iniziato a lavorare come cameriere giovanissimo prima nel suo paese, poi a Roma al servizio del principe Colonna. Sempre a Roma si è spostato all’hotel Diana, frequentato da molti ufficiali tedeschi, ha cominciato a masticarne la lingua ed è stato notato, tanto da ricevere un’offerta di lavoro per Bad Mergenthein, un centro di cure termali in Germania. Aveva subito intuito che l’ambiente tedesco fosse molto più remunerativo di quello italiano, così ha deciso di partire>>.

Il suo percorso è soltanto cominciato: la sua ambizione, il destino e alcune strane coincidenze lo porteranno a incontrare il direttore del Platterhof, l’albergo dei gerarchi nazisti, che vedendolo così sveglio e professionale gli proporrà di andare a lavorare al Nido delle Aquile. Salvatore, ovviamente, accetta. Mentre gli rilasciano un certificato di razza ariana, nella casa di Villa Santa Maria arrivano i carabinieri a prendere informazioni sulla sua famiglia e a controllare che non ci fossero antenati ebrei. È l’unico cameriere italiano a lavorare presso il Nido delle Aquile e a indossare i guanti bianchi per servire al tavolo lo Stato Maggiore tedesco. È il 10 ottobre del 1942. Dopo qualche mese, il 4 febbraio del 1943, la sorte gli offre l’opportunità di riavvicinarsi all’Italia attraverso il Console Roberto De Cardone, originario di Atessa, che dal Nido delle Aquile lo porta con sé prima a Monaco e poi in Francia. Ma la sua strada, è segnato, incontrerà ancora quella del Fuhrer. Nello stesso anno infatti torna il Germania e approda a Norimberga, nell’hotel in cui Hitler possedeva un appartamento privato. Salvatore ottiene un’ottima paga e una sistemazione top: un letto fatto di piume e persino il telefono in camera. Un sogno. Non aveva nessun interesse nei confronti di quello che stava accadendo e dei risvolti politici dei personaggi che serviva ogni giorno: il lavoro è lavoro, e basta. Le notizie della guerra, dell’Italia, gli arrivavano filtrate e lui aveva la sensazione di trovarsi nel posto più sicuro del mondo. Ma il 25 aprile del ’45 arriva anche per la Germania. L’hotel Deutscher Hof viene duramente bombardato, Salvatore si salva miracolosamente dopo essere rimasto per due giorni sotto le macerie. Prima di scappare prende al volo dalla stanza del Fuhrer una statuina di bronzo che ancora oggi è in casa sua, a testimoniare la sua presenza nel fiume della Storia. La sua storia che ancora una volta si intreccia a qualcosa di più grande: Villa Santa Maria, assieme a pochissimi paesi vicini, resta inviolata dai bombardamenti. C’erano molti cuochi compaesani a lavorare a Roma per gli ufficiali tedeschi, e c’era lui, l’unico italiano a lavorare per Hitler, uno dei pochi eletti ad avere il permesso di entrare in camera per servirgli la cena quando lui si sentiva poco bene.

Il ritorno al paese. Salvatore non si guarda indietro, non si ferma. Riparte alla volta di nuovi lavori e nuovi orizzonti fino al 1951, quando decide di rientrare a Villa Santa Maria. Per 25 anni insegna all’Istituto Alberghiero di Roccaraso, ma non gli basta: una nuova era è alle porte, una nuova fase della sua vita lo attende e gli chiede il massimo. Così si scopre un animale politico e decide di fare il possibile per migliorare la sua terra. Viene eletto sindaco per quattro legislature di seguito, apre il poliambulatorio, la centrale idroelettrica comunale, la biblioteca, fa costruire numerose strade e rende la Scuola dei Cuochi una vera e propria Istituzione nel mondo. Villa lo ricorda come un uomo lungimirante, “un sindaco zonale” con ambizioni di crescita di ampie vedute, legate non solo al suo paese ma a tutto il territorio circostante.

<<La Storia diventa storia soltanto dopo, – commenta Vito alla fine della nostra conversazione – mio padre non aveva consapevolezza di star vivendo in mezzo a eventi di tale portata. Una cosa è certa: aveva sempre ammirato il popolo tedesco. Da loro prese solo gli aspetti positivi: la precisione, la puntualità, la capacità di saper lavorare seriamente. Senza lavorare non si ottiene nulla, e lui lo sapeva bene>>.

Potrebbe piacerti anche

Lascia un commento

Registrazione al Tribunale di Vasto n. 147/2017 dell’8 aprile 2017

Direttrice Responsabile: Giovanna Colantonio
Editore: Associazione Culturale Sbadiglio

Contatta la redazione

Link utili

Privacy Policy
Cookie Policy

@2024 – All Right Reserved Disclose Magazine

Translate